Prologo

Nel piccolo riquadro lucido si stagliano le forme delle costruzioni, per lo più palazzi residenziali, che spiccano verso il cielo, partendo da una base di esercizi commerciali colorati le cui insegne accese illuminano il viale, mentre la giornata si avvia freneticamente alla sua conclusione.
Nel breve lasso di tempo che i cittadini milanesi dedicano alla cena, corso Buenos Aires si svuota per prepararsi ad accogliere il popolo della movida che da qui transita per raggiungere i pub e i locali notturni di corso Como.
In un contesto quasi silenzioso e piuttosto surreale, una donna in tailleur scuro avanza decisa occupando uno spazio sempre maggiore nel rettangolo che inquadra il marciapiede.
Il vociare che si udiva qualche minuto fa, e il rumore delle serrande che vengono abbassate, il tintinnare dei lucchetti e delle serrature che vengono chiusi è ormai un ricordo lontano.
A cavallo della mia enduro in sosta, in compagnia di uno degli orologi comunali verdi che segnano le sette e quaranta della sera, proseguo a osservare la donna. Tiene stretta sulla sinistra una borsa grande, ma non abbastanza da contenere interamente un plico avvolto in carta canna da zucchero.
La donna, con il suo solito piglio, ha quasi raggiunto la mia altezza.
Mi giro indietro per osservare, ancora una volta, che la targa della moto sia sollevata orizzontalmente, così da non poter essere rilevata
La donna mi raggiunge e imbocca il vicolo.
Abbasso la visiera del casco, estraggo il pedale di avviamento e con un rapido movimento metto in moto.
Il rombo del motore di duecentocinquanta centimetri cubici rompe la quiete tutto intorno. Sposto il tronco un po’ in avanti in modo che il bolide scenda dal cavalletto.
Osservo nel vicolo alla mia destra; la donna ha già percorso una decina di metri. La borsa a tracolla da cui spuntano i documenti è bene in vista. Quello il mio obbiettivo: un semplice favore per ripagare l’aiuto ricevuto in un passato, mai troppo remoto, da tossicomane.
Ora la distanza è quella giusta.

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Capitolo 1

Un’altra pesante giornata di lavoro sta volgendo al termine; non vedo l’ora di arrivare a casa, farmi una doccia e prepararmi una cena succulenta che consumerò da solo davanti alla TV.
Purtroppo la moltitudine di automobilisti dell’ora di punta sembra avere dei piani molto simili ai miei. Sono ormai trenta i minuti di coda che ho trascorso per giungere dal rondò di Sesto San Giovanni all’ingresso della Tangenziale Est di Cologno Monzese. È il tragitto quasi obbligato, da quando hanno chiuso viale Fulvio Testi per i lavori della linea cinque della metropolitana, che devo compiere ogni giorno per tornare dall’ufficio in viale Sarca alla mia villa monofamiliare in periferia di Cernusco sul Naviglio.
Sono circa una quindicina di chilometri e normalmente d’estate, quando le scuole sono chiuse e i veicoli che circolano sono decisamente meno, mi costano poco più di venti minuti.
Oggi pare proprio essere l’eccezione che conferma la regola. Vuoi perché le previsioni del tempo a differenza del solito sono state attese, vuoi per l’ennesimo sciopero dei mezzi pubblici: come è solito verificarsi ogni volta che piove, la circolazione a Milano e dintorni va in tilt, pertanto mi sono rassegnato a trascorrere in auto almeno un’ora.
Mi tiene allegra compagnia la musica che proviene dall’impianto stereo della mia utilitaria che, a dispetto di ciò che potrei permettermi, è l’unico bene che stride con l’eleganza di cui adoro circondarmi. Del resto non ho mai amato le automobili, a cui ho sempre preferito le moto; pertanto, quando si è trattato di acquistarne una, ho propeso per la comodità anziché il lusso.
Sopporto malamente quei manager che circolano con il SUV o con le berline da cinquantamila euro, che si sentono i padroni della strada e poi piangono per ogni minimo graffietto alla carrozzeria perché l’assicurazione non li copre e, soprattutto, perché non possono più ostentare la perfezione del gioiello che guidano. Li ho sempre immaginati come quelle persone che cercano la sicurezza sessuale in un bolide che fa da zero a cento chilometri orari in cinque secondi, ritenendo lo stesso tempo più che sufficiente a soddisfare una donna.
Io sono fatto di un’altra pasta.

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